domenica 22 dicembre 2013

Sfida alla Dea Vita e la suo programma DNA. Follie di Gian Berra

Il carciofo Narciso ci insegna la filosofia per fregare il DNA a programma ignorante.



Sfida al DNA, quarta parte.
Il carciofo Narciso e orgoglioso di Gian Berra.

Che belli i pomodori dietro il carciofo? Non è vero? Ma era già fine settembre di 7 anni fa, e il primo freddo li ha bloccati verdi. Che sia da farli fritti come nel film?
No, è ovvio, ma che bello il carciofo che è fiorito nel suo splendore. La gente passando per la strada mi diceva: ma non lo cogli, non lo tiri via prima che fiorisca?
Io sorridevo e mi inventavo scuse, per farli passare oltre. Non potevo dire loro che stavo fregando alla grande il DNA. Lo menavo in giro come uno stupido, come in realtà è il programma ottuso, ma prezioso racchiuso nella nostra eredità biologica.
Perché mai dovremmo agire come macchinette programmate? Le civiltà, quando hanno risolto i problemi primari del mangiare, del territorio protetto, possono godere del surplus e creare il loro DNA mentale fatto a loro propria immagine. Questa è la cultura: E' rimirare sé stessi, misurarsi, e se le condizioni lo consentono... giocare. E' un lusso prezioso che pochi umani possono gustare.
Questa è la filosofia, strumento per definire spazi infiniti o confini più o meno condivisi.
Che lusso! Così a me non interessava magiare il carciofo, ma ammirarlo, goderlo e fotografarlo per rendere la sua immagine quasi eterna.
Ogni volta che vedo la foto, è come adorarlo una altra volta, e godere del suo trionfo. Io raccolgo il suo orgoglio, la sua vita che diventa anche mia. E lo ringrazio ancora oggi.
Grazie carciofo Narciso, tu sei eterno nei miei pensieri, e lo sarai per sempre.

Gian Berra 2014.



Sfida alla Dea Vita e la suo programma DNA.  
Follie di Gian Berra


Un sasso per amico

Terza parte.     Cosa è un totem? Le confidenze scandalose.

Dare scandalo. Far cose brutte, nascoste e poi fare in modo di lasciare un pochino accostata la tenda in modo che lo sguardo curioso ci scopra una preziosa briciola di malizia.
Occhi che fanno finta di non vedere, di non guardare in quello spicchio di probabile oscenità,
ma sono così tesi nello sforzo che non possono nascondere la voglia di sapere.
Quasi soffrono nel tenere allo stesso tempo due direzioni. La loro tensione li stanca a morte, ma già pregustano una novità che solleverà il loro spirito sino al punto di dire che loro avevano ragione.
Ragione da vendere.


Eppure è una cosa così semplice, naturale, spontanea. Quasi innocente o forse ingenua.
Quel pomeriggio di settembre vagavo; cosciente che si trattava di un giorno prezioso. Sapevo che era l'ora magica, ma non sapevo altro. Io sono ingenuo alla follia, mi fido di ciò che è curioso, ma non mi domando il perché. Vivo quell'attimo come una fortuna.
Così vidi in mezzo alle zolle appena arate un qualcosa che brillava lontano tra la terra.
Non ci vedo bene, nemmeno con gli occhiali. Non sapevo cosa era, ma mi chiamava come fosse un tesoro.
Così mi guardai in giro, timoroso che qualcuno si seccava per il fatto che andavo a calpestare la terra smossa. Mi pareva di disturbarla. Ma mi feci coraggio. Affondavo sulle zolle e poi fui sul punto luminoso. Era un sasso che stava giusto nel palmo della mano.
Lo raccolsi, era asciutto, appena sporco di terra scura che venne via subito. Lo ripulii meglio e lo carezzai per sentire la sua pelle di sasso. Mi impressionò la sua forma perfettamente sferica. Perfetta come una sfera, pareva quasi artificiale. Ma si vedeva che era stata la sua storia naturale a farlo così.
Sasso di calcare butterato, quasi levigato, ma non del tutto.
Bianchissimo, dall'aria un po' sfacciata.



Troppo bello, troppo perfetto. Una sfida? Appena un pensiero di rabbia passò come un lampo nei pensieri. Ma lo esclusi all'istante. Non avrei ascoltato la voce dell'impotenza. No mai!
Allora lo guardai ancora in silenzio... e Lui mi si strinse nella mano. Lo racchiusi tra le dita e cercai di stringerlo a mia volta. Lo sentii duro, un po' freddo, ruvido e tenace. Sentii anche la Sua indifferenza alle mi domande. Sentii il Suo orgoglio di essere sé stesso...e basta.
Lui non si poneva domande, neppure ne faceva a me. Era la, e bastava.
Allora compresi la sua forza. Forza antica, dura, semplice, naturale. Essenziale.
Allora non mi feci domande e lo accolsi.
Lo adorai, e lo adoro ancora oggi.
Adorare è parlare alla pari con l'altro. Io e l'altro che parlano l'un l'altro ascoltandosi a vicenda.
Chissà quale demonio venuto dai deserti del vicino oriente, ci ha fatto credere che “adorare” è mettesi in ginocchio di fronte a “Qualcuno” che ha il potere di essere al di sopra di noi tutti.
Che follia malata deve essere quella Entità che considera sé stessa al di sopra di noi tutti, e che addirittura considera sé stessa “Padre”, e rifiuta come sconcia la qualifica di Madre”.

Sto divagando, non vale la pena trattare dei sogni di potenza di entità svergognate e ingannatrici. Esse sono presenze parassite che succhiano le anime d'occidente della loro dignità. Basta ignorarle e lasciarle sole. Da sole esse muoiono da sole. Senza la nostra attenzione, svaniscono e basta.

Il sasso di calcare bianco butterato invece è ancora con me. Me lo porto vicino. A lui non importa nulla di me. Lui vive da milioni di anni. Io tra poco sarò meno che polvere, imparo da Lui cosa è la Vita. La prendo da lui e in cambio Lui mi ruba l'attenzione.
Ne vale la pena?

Il sasso mi risponde coi i miei stessi pensieri: Perché ti domandi dei perché? Non ti basta vivere in mia compagnia? Sento che lui è contento, almeno quanto può esserlo un sasso. 
E mi sento felice.

Gian Berra 2013
NB. Il sasso bellissimo della foto non è il mio sasso. Lui non vuole essere fotografato, io lo ascolto.



Aspettando che la sfida al DNA si compia...




Sfida alla Dea Vita e la suo programma DNA.  
Follie di Gian Berra


Sfida al DNA e alla Vita...  ( prima parte)

Ecco che i pensieri vagano, chissà se c'è uno scopo. Loro lo cercano indecisi se indagare oltre. Ma è una illusione. Così è meglio rischiare e mi butto nel piacere di andare oltre ciò che serve davvero.
Meglio vagare nel superfluo. Che bello vivere in una fetta di civiltà che permette uno spicchio di ricchezza che ci dona libertà di sognare. Liberi, per ora, di cercare a tempo pieno il cibo o il riparo provvisorio... possiamo goderci la cultura.
La Dea Vita ha previsto una evoluzione del DNA mentale o culturale?
La Dea Vita è una Dea terribile, e pare, senza cuore. Ma ci dona una occasione limitata di poterLe ridere dietro. Lei non ride di noi umani, nemmeno ci vede: Siamo una crosta dallo spessore flebile e provvisoria.
Lei la Dea per eccellenza, ha accettato un incidente rischioso come una moderata autocoscienza.
Ma rischioso per noi certamente. Lei, la Dea quasi assoluta ( per noi) ride di gusto ai nostri crucci.
Ride e quasi si piega in due dal ridere delle nostre certezze. Lei ride delle Fedi, religioni, idee e certezze.
Ride sopratutto del fatto che le cerchiamo, ride della nostra paura. Poveracci, ci dice...
Lei, la Dea crudele, e mamma assoluta, ride dei maschi umani e li usa come cavie per tormentare le femmine della specie. Una umanità che funziona a metà è uno scandalo per la specie. Una sfida a chi resiste più a lungo. La Dea comunque non conta il tempo, se ne frega. Sa che ci meritiamo di essere ciò che sapremo essere. E Ride, si diverte un sacco.
Selezione naturale? Fisica e anche mentale? Certo, Lei gioca a dadi con gioia, perché nemmeno Lei sa come andrà a finire. Il rischi è il suo gioco...e lei non si cura di perdere, perché perderemmo di sicuro prima noi, poveracci. Che sofferenza, che tedio, che rabbia.
Quando La sfidiamo fa finta di darci corda, ci segue per un poco...e poi ci lascia soli a leccarci le ferite.
C'è chi ha tentato di pregarla, di accenderle dei ceri, c'è chi addirittura ha fatto sacrifici orrendi per Lei. Addirittura alcuni hanno mortificato la loro “ragione” o il loro corpo per una salvezza dal Caos, altri sono fuggiti nella follia per non vedere un futuro certo.
Altri hanno cercato di sfuggirLe sperando in qualcuno che la abbia creata a Sua immagine. Follia.
Lei, la Dea ride ancora di più della debolezza di questa specie che pensa di sapere come ottenere qualcosa da Lei, la superba.
Eppure una mezza soluzione esiste. Sfidarla.
Lei, Dea senza cuore, usa una Sua soluzione quasi chimica, per determinare un Caos moderato per ingabbiare gli umani. Mescola e rimescola usando programmi quasi de tutto emotivi. Usa anche l'ambiente come un gioco, assieme al tempo. Gioca e nemmeno guarda. Si annoia col nostro tempo. Gioca Lei, con quelli che ancora non la hanno sfidata. Lei sa che “l'autocoscienza” pretesa dagli umani è una grande fregatura. A cosa serve tale facoltà se poi l'istinto dice che tu dovrei finire in polvere e questa si mescolerà alla terra per fare altra terra. La paura di essere così “poco” è la garanzia che in DNA dovrà ancora fare un gran salto per sfidare la Dea femmina che alimenta illusioni di fuga nell'illusione dei sogni che vengono fuori dalla follia del deserto.
Deserto interiore specialmente dei maschi umani. Alle femmine umane non interessa per fortuna la follia di “fare” ad ogni costo le cose. Loro, le figlie della Dea basta vivere...la Vita.
Sfidarla, questa Dea? Seguire il suo scopo, viverla come lei vive sé stessa?
E finalmente fregarla? Farle vedere finalmente che il suo progetto vitale è...vivere?
Vivere senza aggettivi o termini. Vivere e basta. Al meglio naturalmente. La sofferenza è solo una possibilità, una patologia che può essere curata dall'amore per la Dea.
La Paura solo una Dea di grado inferiore. Sacra anche essa, ma secondaria. Una fregatura rimasta dentro i meandri ancestrali del sacro DNA. Per fortuna le Dee e gli Dei non sono mai assoluti, e non ci assomigliano nemmeno. Possiamo offenderli a morte, e loro sono più che contenti di vedere che finalmente qualcuno si è accorto di loro. Lo accoglieranno quasi fosse loro fratello. Rideranno del nostro coraggio, ma lo rispetteranno, o per giocare con noi ci rispetteranno come fossimo loro.
Ma il passaggio più importante è sfidare il DNA.
E questo lo racconterò la prossima volta...
Lo traduco anche in dialetto veneto?
Gien Berra 2013



Memole, la Dea assoluta



Come seguito a sfida al DNA e alla Vita.  ( seconda parte )

Addomesticare o favorire una autocoscienza?
Memole, mia amata cagnetta tu sei il mio amore da difendere dal maligno destino del DNA e dalla durezza della Dea Vita. Lei la Dea altezzosa ed indifferente non si interessa di me o di te. Lei ragiona con gli umani, come fa il Dio stato padrone( o no), che ha la sua ragione... di stato.
La ragion di stato somiglia alla ragione della Dea Vita, essa non pensa agli individui, non li vede nemmeno.
Per questo io ti frego o Dea insensibile. Io cambierò le cose, anche se solo per meno di un Tuo attimo, Ti ruberò un pezzo di programma di DNA... e lo userò per il mio scopo.
Tu, Dea insensibile, non hai emozioni? No vero, carissima? Ma hai fatto uno sbaglio: Hai permesso con disattenzione ( in fondo da ignorante) che agli umani crescesse un granello di autocoscienza. Ora corri ai ripari creando col divino Caos tanta confusione, e tenti di disorientarci per ora. Pensi davvero che spariremo tutti in favore di una nuova era dei rettili? Illusa! Io, cara mia ti metterò i bastoni tra le ruote.
So come fare, e userò proprio le regole del tuo programma DNA!
Ho dato alla mia cagnetta il nome Memole. Divina Memole, il tuo nome viene da un folletto dei cartoni animati di 20 anni fa:Un folletto femmina, gentile, furbetto, ingenuo, tenero e con tanto fascino... ( niente a che fare col furbetto idraulico Super Mario, che ora tormenta con sfacciataggine i veneti rabbiosi, ma addomesticati di oggi. Chiamato anche Wiva Super Mario, WSM, che strazio..)

Memole, ora hai 8 anni, sei matura e posso dirti la verità: Non ti ho mai addomesticato.
Mai! Parola mia. Naturalmente non lo ho fatto nemmeno con i miei figli.
( Figurarsi con mia moglie...)
Cara bambina cane, ti ho osservato, fin quando ti portammo a casa. Tu ti guardavi attorno in attesa di cercare qualcosa a cui ubbidire. Vedevo lavorare in te, il DNA maligno che generazioni di umani ti avevano messo dentro, copiandolo da loro stessi. Un padrone ha potere, un padrone è necessario, anche se non è palese, come farne senza? Che grande sfida!
Una volta al giorno ti prendevo in braccio e ti coprivo di baci. Non c'era una ragione, lo facevo perché mi piaceva. Ma tu non capivi. Pensavi: “cosa ho fatto per meritare tanti baci? Forse ho sbagliato qualcosa?”
Poi cominciai a parlarti come parlavo a tutti gli altri in famiglia. Non so se capivi, non mi interessava un bel niente. Anche se mi guardavi sospettosa, io ti prendevo sul serio, malgrado tutto.
Poi, anche quando non sapevo che fare, lo domandavo a te.
Poi, cosa grande ho cominciato a scherzare con te. Ti ho fatto capire di non prendermi sempre sul serio. Ma tu capivi che anche questa era una cosa seria.
Così presto tu imparai che io non ero un padrone, ma uno che era quasi come te.
Quando ti chiamavo non mi degnavi nemmeno di uno sguardo, a meno che tu non lo volessi.
Era la prima vittoria sul maligno DNA!
Però poi vennero i frutti, e tu, carissima, cominciai a diventare furba e canchera. Era come se tu avessi imparato a ridere. Fu il mio, e tuo trionfo. Sapevi come ricevere attenzioni, come reclamare cibo, e cosa sublime... come richiedere affetto.
Poi finalmente la tua vita divenne la nostra. Tu hai poche esigenze o desideri. Noi tutti ti avevamo preparato un territorio protetto dalla indifferenza della dea Vita. Noi eravamo la Vita, e completamente a tuo favore, o divina Memole. Le nostre regole di DNA erano solo a tuo favore.
Abbiamo fregato, e girato a nostro vantaggio ogni indifferenza. Ti pare poco?
Per quell'attimo che siamo in questa forma di vita, siamo noi che facciamo le regole: condividiamo, amiamo, litighiamo, gioiamo senza più paura uno dell'altro. Non più nemici o ansie, abbiamo creato il nostro paradiso, e tu cara sei un Dio a tutti gli effetti. Che amore!
Invece, fuori, i maligni a domandarsi chi erano quei matti. Cosa mai facevano?
Quelli fuori, poveracci, si sentono liberi di odiare e giudicare. Poi si inventano occupazioni per definire rigidi confini. I confini, le classificazioni, le bandiere, le idee e le emozioni legate a tali inganni li tenevano ben legati al loro schema. E intanto la indifferente Dea Vita quasi ride di loro. La Dea Vita prova emozioni? Non so, lei non si accorge nemmeno degli umani. Sono solo probabilità e nulla più. E il DNA è il suo programma scritto in linguaggio senza pietà. Figuriamoci se contiene amore!
Ecco che tento di lanciare raggi gamma con le parole, Forse riuscirò a lasciare un segno dentro alla folla di identità che avrà il tempo di leggere le mie follie.
Ma cosa mai tu vuoi da noi chiacchierone? Intuisco.
E' ovvio, voglio prendere tutti in giro, e giocare e divertirmi un sacco.
Poi mi viene una domanda: Perché il Dio unico, assoluto dell'occidente e del vicino oriente, non ride mai?
E mi vengono i brividi...

Gian Berra









Memole la Dea assoluta





venerdì 13 dicembre 2013

Cosa è un totem? Note di follia.

Il totem della Paura


Prima parte
Ecco provo a rispondere alla domanda: Cosa è un totem?

Questo è un gruppo di filosofi ( più o meno) Allora è d'obbligo non insegnare niente, ma raccontare le proprie esperienze personali. Io racconto le mie.La mia è stata una strada lunga per arrivare a queste cose. Penso che il DNA non è solo qualcosa di biologico materiale, ma anche di temperamento. Ci viene messo dentro come una possibilità da usare o no.
Io ho ricevuto di sicuro qualcosa di feroce. Mi ha fatto capire che se lo ascolto,  bene, OK. Se non ascolto Lui ( maiuscolo), non mi lascerà mai in pace.
Così ho vissuto un mucchio di casini personali. Ho rinunciato a stare comodo, e così avanti col caos personale. La cosa più misteriosa è che quando ascoltavo questo DNA nascosto, le cose andavano un pochino meglio. Ma come ascoltarlo?
Il cervello nascosto ( inconscio) non parla con le parole. Lui è anche una cosa assassina per la mente cosciente. Lui non ha il concetto di tempo. Per Lui un giorno vale come un anno, e anche il contrario. Poi, cosa canchera, non ti dice mai cosa fare in modo chiaro. Così mi è toccato imparare cosa lui vuole da me. E così sono cominciate le crisi più più brutte, più scure. Le angosce e le paure che mi hanno strattonato quasi a morte ( cosi' almeno pareva a me). Ma dopo le crisi, veniva anche un senso di sorpresa: ero ancora vivo! (ho scoperto poi in seguito la ragione di questo disagio, ma ne parlerò un'altra volta)
Ma per poco, perché questo Lui nascosto non mi lasciava stare che per il tempo di ritrovare un equilibrio, per il momento.
Allora ho imparato la prima lezione speciale: Parlare con Lui come se fosse vivo, presente, quasi fisico. Lui voleva essere riconosciuto! Lui voleva che lo chiamassi per nome. Voleva che lo riconoscessi come reale. Ma che nome gli ho dato?
Ecco, non ho fatto lo sbaglio di ingannarlo. No, io gli ho dato il mio nome. Ci evoluto coraggio per riconoscerlo fino a tale modo! Il Lui nascosto sono io! Si chiama Gian anche Lui.
E ho cominciato a parlare con questo Gian nascosto. Come se fosse la vicino a me ad ascoltarmi.
Ma ho imparato anche a non aspettarmi mai una risposta diretta. Lui non parla. Lui ti dice qualcosa con intuizioni, con segni o immagini. Questo e il suo modo di dire le cose. E la cosa peggiore è che te le regala quando vuole Lui. Dopo un mese, un anno, quattro anni?
Più aspetto la risposta, più Lui tace. Invece quando non ci faccio più caso, lui arriva e mi blocca dalla sorpresa. Porco! Gli dico, perché non me lo hai detto prima?
Quando mi viene la rabbia, sento che questo Gian nascosto ride di gusto, lui mi vuole bene, in fondo. Ecco, ho appena cominciato a parlare della questione. Per adesso basta. Non posso sparare tutti i miei colpi in un colpo solo. Meglio non fare troppa confusione.
Gian Berra.
La Dea


Cosa è un totem? La scoperta pratica. 2


Erano tempi di gran confusione, e le soluzioni non mi bastavano. Il mio inconscio (cervello nascosto) non mi lasciava stare. Il "Gian nascosto" non era contento. Ma lui non ha il concetto di tempo e neanche le parole. Però mi faceva vedere che non andava bene far finta che tutto andasse in modo normale. Dopo la crisi di mezza età (la passano tutti , ma fanno finta che non ci sia) che nessuno racconta in giro perché provano vergogna. Vedevo che tanti si mettevano a bere per non pensarci, o comperavano una nuova macchina, o prendevano medicine per far dormire i pensieri, o andavano in chiesa per il senso di colpa, o correvano dietro al sesso. Non potevo scappare con queste cose perché ormai avevo aperto la porta verso il mio Gian nascosto e non potevo ingannarlo.
Come fare per far tacere questo disagio? Non si può, bisogna lasciarlo parlare e sentire cosa ha da dire. Lui è un canchero sincero e ti parla con le emozioni. La prima emozione che è venuta fuori è la Paura. Ma paura di cosa? Lei è una emozione e basta: Lei non parla, non si può vedere, non ha che lo scopo di far paura; e lei ha così tante facce che non si possono riconoscere...
Paura, angoscia, tensione, smarrimento, poca voglia, debolezza, apatia, sconforto, rabbia, odio, cattiveria, poca energia, dubbio, illusione, voglia di tutto e di niente, scombussolamento, indecisione, timore... Prova a domandare a una di queste cose: Perché?
No, non ci sarà mai risposta, perché
la Sua forza è il silenzio, e anche non farsi vedere da nessuno!
Allora ho imparato a stare al gioco, non le domandavo più niente, ma pensavo già allora che sarebbe arrivata la soluzione.
Andavo quasi ogni mattina, anche nel pomeriggio a fare una camminata sul Piave. Una mattina di inverno ero sulle grave del Piave, tanta nebbia fredda e nessuno in giro. Guardavo gli alberi senza foglie che indicavano il cielo con i rami nudi. Un albero di questi sembrava mal messo, quasi troppo vecchio e forse stava morendo. Mi faceva quasi paura. Che immagine!
Allora ho avuto un lampo di intuizione. Era l'immagine della Paura!
Porca vacca, ho detto a voce alta! Adesso ho l'immagine della paura. Adesso lei non può più nascondersi. Non può più essere invisibile! Non può più prendermi a tradimento.
Adesso la vedo bene, brutta troia, vacca, luia. Adesso non mi scappi più!
Ti ho preso, non mi scappi più!
Poi sono scappato a casa e sono andato sotto al portico e ho visto in mezzo alla legna da segare, un pezzo di tavola marcia. Gli ho tirato via i chiodi ruggini, ho levato via le schegge e ripulito la tavola. Dopo gli ho messo una appicaglia per poterla appendere a un chiodo.
Sono andato al mio studio e ho appeso ben in alto questa tavola. Dopo la ho guardata con intenzione attenta con gli occhi che sparavano fuori rabbia e volontà ho detto a Lei:
Tu sei la mia Paura. Adesso non mi freghi più.
 Adesso ti vedo in faccia e non puoi più nasconderti. Mai più!
Dopo, con più calma: Tu sei mia, Tu sei me. Ti guarderò e ti ascolterò sempre. Ogni volta che vuoi dirmi qualcosa, sono qua ad ascoltarti, e la tua immagine ogni volta sarà chiara. Dimmi tutto che da oggi in avanti io ti vedo!
Ti vedo e ti ascolto, anche ti sfido, Anzi io ti vorrò così bene che anche ti insulterò con rabbia, ma anche ti prederò per mano se sarà necessario. Amica o nemica non ha importanza.
Tu, brutta sporca bestia, tu sei me. E non dico altro, canchera.
Per oggi basta, perché mi sono arrabbiato una altra volta.

Gian Berra. 2013

Gioco con la Vita








domenica 1 dicembre 2013

Gian Berra e Bruno Donadel a cena a Solighetto il 13 settembre 2013 per parlare dell'anima del popolo veneto...




Gian Berra e Bruno Donadel a cena a Solighetto il 13 settembre 2013 per parlare dell'anima del popolo veneto...



Bruno Donadel e Gian Berra insieme a ricordare l'anima del popolo veneto



Splendida immagine del giovane pittore Bruno Donadel
La cena con Bruno Donadel. 13 settembre 2013 a Sologhetto.

Ho lasciato passare due mesi dal quel 13 settembre 2013 che ho incontrato Bruno Donadel. Meglio lasciare che i ricordi possano riposare e poi farli tornare fuori.
Donadel ha la fortuna che lui ha costruito con cura durante tutta una vita. Amici fidati che lo apprezzano e lo seguono e lo tengono in costante compagnia. Cene, pranzi, incontri, fughe e viaggi per sfogare la vita. E un numero di collezionisti infinito. Ancora oggi riceve commissioni e inviti.
Lui naturalmente fa il difficile, si sdegna, fugge, ti guarda male e qualche volta ti schernisce come a dire: Ma ti chi situ? In realtà il suo cuore è grande, sincero, generoso. Ma ruvido, come il vero uomo veneto di una volta. Era grande amico del poeta Andrea Zanzotto e adesso anche di Mauro Corona. Anime simili prima o poi si incontrano.
Era una bella serata di settembre e con la sua Panda, il mio amico Baldotto ci portò su per le colline di Solighetto fino ad una osteria che aveva un bel pergolato carico di uva nera, tutto illuminato.
Era buio, e poca gente in giro, era un giorno feriale, eravamo quasi noi soli.
Subito, il padrone del posto chiamò da parte Donadel e si scambiarono cose segrete. Una giovane signora, forse la padrona lo chiamò dentro con gentilezza. Fu avvisata che più tardi sarebbero arrivati gli altri. Ci mettemmo comodi su una grande tavola in mezzo alla sala. Io mi misi accanto al maestro. Appena seduti decidemmo di mangiare leggero. Poi cominciò il teatro.
Donadel era un po' silenzioso con me. Ma mi osservava con furbizia. Pesava ogni mio gesto e parola. Poi si volse con occhi furiosi verso una signora di mezza età che serviva ai tavoli ( poi seppi che era una signora che veniva dalla Iugoslavia..)
Slava, Vien qua! Urlò Bruno con furia.
Lei parve non prendersela per quello che pareva un insulto. Ci era abituata. Io però ero già in crisi. Lui ci ignorò tutti e si mise a ordinare. Poi si calmò un po'. Noi prendemmo pomodori in insalata con bistecca, lui invece nella foga prese una fiorentina gigante. E vino a volontà.
Nel frattempo arrivarono anche i suoi amici. Adesso anche lui era a suo agio. Cominciò a parlare di pittura e raccontò degli anni '50, quando fu scoperto da un gallerista milanese che lo portò a Milano e gli fece fare delle mostre di grande successo. Ci disse che gli venne anche offerto un posto in una scuola d'arte. Volevano che insegnasse disegno. Ma lui non si sentì di lasciare la sua terra e rinunciò a questa grande occasione. Io sono certo che se avesse accettato ora sarebbe ufficialmente tra i grandi pittori italiani. Ma al cuore non si comanda.
Poi si mise a lamentarsi di quelli che facevano strada senza saper ne disegnare ne dipingere. I commenti dei suoi amici lo scaldavano, assieme al vino.
Dopo due bicchieri anche io mi misi a predicare con foga. Lui intanto mi continuava ad osservare. Mi sentivo come spogliato di ogni maschera. Gli occhi di Bruno Donadel erano come lame.
Così raccontai di come amavo la sua pittura. La sua sincerità e la sua ruvidezza. Gli parlai dell'anima veneta così paurosa di vivere sé stessa. Gli dissi del suo coraggio di essere sé stesso e di dare tanto alla sua gente.
Mi guardava, e vidi nei suoi occhi una antica dolcezza, un carico di umanità che tanto faceva fatica ad accettare una realtà tanto difficile. Ma subito scoppiava in lui un lampo di rabbia che lo randeva teso e diffidente, era anche lui come me. Ma aveva dovuto lottare molto più di me.
Lui aveva capito che io avevo capito. E si ritirò un po' in se stesso, e ci aprì la sua anima.
Ci raccontò una esperienza che lo aveva segnato dentro l'anima. Vidi per la prima volta un accenno di lacrima sugli occhi di Bruno. Ma subito scomparve.
La vicenda accadde appena mentre la guerra finiva e le bande partigiane squassavano il suo paese. Molti approfittarono di quei momenti di caos, per le loro vendette. Lui ancora giovane vide fucilare in un cortile una intera famiglia. Poi a molti contadini come, lui vennero requisite le due vacche che erano la loro ricchezza. Forse fu la sua reazione a tali violenze che decise di non cedere mai più all'inganno e alla paura. Decise di andare a scuola  e fare un corso di disegno a Conegliano. E di fregarsi di ogni convenzione. Passione è energia. Non importa se ti considerano folle o sognatore, importante è ascoltare il proprio istinto. Bruno Donadel sfidò la paura di secoli che opprimeva il suo mondo. E lo fece a modo suo: con semplicità disarmante e quasi ingenua. O lo accettavi così come è, o te ne vai.
Ha vinto lui!
Bruno Donadel negli anni '70
Poi, durante la cena lui si accorse che non aveva più fame. Lasciò a metà la fiorentina. E, cosa commovente... si sentiva in colpa per lasciarla la nel piatto. Quando si avvicinò la cameriera, quasi le chiese scusa con uno sguardo che chiedeva perdono. Io sentii per questa sensibilità... un groppo in gola. Ma fu un attimo. Dopo già lui quasi urlava contro tutti.
Poi la serata proseguì con slancio e verso il tardi tornammo verso casa.
Al ritorno lo vidi un po' triste e silenzioso. Forse le mie parole gli avevano fatto riemergere una parte dimenticata di sé. E so che fa male. Ma forse doveva andare così. Avevo meritato il suo rispetto, ma la vita non si cambia. E lui, Bruno l'ha vissuta alla grande.
Tornai a casa con una gran confusione in testa, e non solo per il vino. Quando le anime si incontrano creano il Caos. E il Caos pretende sempre un gran sacrificio di sé stessi. L'Arte è una Dea incantevole, ma ti ruba l'anima. Poi pretende di essere adorata, ma ti asciuga le energie della Vita. Poi te ne regala altre, forse di più. Ma che confusione...
Grazie ancora Bruno Donadel! Grande anima veneta!
Nelle foto: Bruno Donadel con Andrea Zanzotto e Mauro Corona. L'altra Io e Bruno Donadel.

Gian Berra 2013

In giacca chiara il famoso gallerista Martinazzo Vincenzo alla inaugurazione
della mostre del pittore Bruno Donadel a Trento nel settembre 1981, presso lo studio
del pittore Gian Berra.




Il pittore Donadel Bruno
Preparazione dell'incontro con Bruno Donadel... e la mattina dopo.
Tutto è capitato ieri sera senza preavviso. Alle ore 16 L'amico Baldotto mi ha detto che passava a prendermi alle ore 19 per portarmi dal pittore Donadel Bruno per andare fuori a cena- Io mi sono spaventato e gli ho detto quanto costava. Trenta euro a testa. Mi sono calmato. Siamo arrivati a casa di Donadel col buio. Si vedeva appena una porta aperta sul cortile con la luce du un neon che usciva fuori. Poi venne il cane. Dall'aria mite e remissiva che ci guardò appena- Avevo un po' di timore a entrare in quella caverna di luce fredda. Lui il principe dell'Anima veneta, ci girava le spalle. Mi sono avvicinato io e poi lui si è girato con aria timida, ma pronto a scattare con veleno. Gli ho preso la mano. La sua mano aveva timore di stringere la mia. Allora gli ho stretto io la sua e mi son messo a parlare col cuore a voce alta. Lui mi ha sorriso appena e guardando l'amico baldotto gli ha urlato in tono sprezzante di aprire la bottiglia di vin nero comprata al discount vicino- Baldotto ha quasi fatto un salto e ha afferrato il cavatappi, mentre Donadel metteva due bicchieri sil tavolo dei colori con un caos incredibile.
Donadel: Verdela, velto, mona ti!
Baldotto: No vien su al suro, al se ha rot...
Gian: Porco can che roba...
Donadel si gira verso un mucchio di tele e cerca (?) qualcosa. Si mette a telefonare ad alcuni dei numerosi amici per confermare la serata in un ristorante sulle colline di Solighetto. Sembra che saremo un buon numero. Tutti pagano alla romana.
Donadel: Lora atu verto, miserabile...
Finalmente il sughero viene via e ci versiamo due bicchieri. 
Anni '50, Bruno Donadel con amici a Venezia
Poi Donadel ci spinge fuori verso la macchina al buio. E' la panda di baldotto, io mi siedo dietro per rispetto. 
Stamattina ho la testa pesante e troppe cose da dire. Ci vuole tempo per digerire tutto e raccontare con calma. E' stato un incontro con gli Dei dell'Anima veneta. Portate pazienza.
Lui, il vate mi ha permesso di fare qualche foto, ma solo per misericordia. Ha voluto ordinare una costata da far paura. Ma non la ha mangiata tutta...








Mauro Corona, Andrea Zanzotto, bruno Donadel
Bruno Donadel, pittore nato nel 1929, anima dura, inquieta, intrattabile, schietta. Lo ho conosciuto nel lontano 1979. Abita in una casa che sembra una stalla, con un seguito di ammiratori che lo tengono occupato a giocare a "bestia". Parlare con lui è difficile: un dialetto crudo e arcaico. Se entra una donna la affronta con uno sguardo di rabbia repressa: Situ na putana? Crudo come lo erano ( lo sono ancora?) i venti maschi di ieri. Dipinge nello stesso stanzone lurido dove fa osteria coi suoi amici. Guarda i nuovi arrivati come fossero pidocchi. Regala i quadri a chi gli piace, ma non vende nulla se non gli piaci. Ci siamo subito capiti e con me fa una faccia dolce e si fida. Quando nel lontano 1981 avevo aperto uno studio a Trento, gli feci fare là una mostra e lui si presentò in ritardo...ma per la prima volta in vita sua...con la cravatta. Donadel anima pura doc veneta. Uomo veneto maschio ribelle acerbo, ma vero. Gian Berra 2013



BRUNO DONADEL
Bruno Donadel è nato il 16 marzo del 1929 a Soligo (quinto di nove fratelli) - frazione di Farra di
Soligo - in località Campestrin in una casa colonica dove convivevano, come mezzadri
dell’ammiraglio De Renzio, ben cinque colmelli imparentati fra di loro. E tutti con il cognome
Donadel: una quarantina di persone. 
Dopo aver frequentato le scuole elementari, inizia ad aiutare la famiglia nel lavoro dei campi anche
se nei momenti liberi disegna i soggetti del suo mondo su qualsiasi foglio di carta gli passi fra le
mani. 
Più tardi affina la sua espressività sia frequentando la Scuola di Disegno (siamo all’inizio degli anni
’50) di Pieve di Soligo guidata da Giovanni Zanzotto, padre del poeta Andrea (che negli ultimi anni
della sua vita ha incontrato Bruno e gli ha rivolto frasi di stima e di elogio), ove apprende l’uso
della prospettiva, sia disegnando il suo mondo e soprattutto tenendo conto della sua esperienza nel
duro lavoro dei campi: opere che poi, a distanza di qualche settimana, rivede criticamente e che
regolarmente distrugge perché insoddisfatto di ciò che ha creato. Se si è salvato qualche esemplare
di quel periodo, ciò si deve a qualche estimatore che, senza farsene accorgere, sottraeva al fuoco ciò
che Bruno aveva prodotto: anzi tuttora ripete volentieri di essersi accorto più volte che nella “tassa”
dei disegni ne mancavano molti, ma nello stesso tempo sottolinea che non ha mai sorpreso qualcuno
con le mani nel sacco. 
Sono migliaia e migliaia di schizzi con i quali l’artista si è formato, si è corretto e si è misurato,
praticamente con l’aiuto limitato nel tempo di Giovanni Zanzotto, da autodidatta. A dire il vero
Donadel ha avuto un aiuto, forse nel 1952 o 1953, anche dal pittore Alfredo Serri, un ritrattista,
allievo di Pietro Annigoni, che aveva incontrato a Cortina d’Ampezzo perché ospite della stessa
famiglia ove ogni anno, nel mese d’agosto, si recava assieme ad amici del Solighese per tagliare
l’erba - essendo ingaggiato come segantino - che cresce rigogliosa in quelle splendide valli.
Nel 1956, per avere un giudizio su ciò che stava producendo, manda dei disegni a Carlo Cardazzo,
proprietario della Galleria “Il Naviglio” di Milano e del “Cavallino” di Venezia. Costui sceglie tre
disegni e li invia all’organizzazione del Premio Diomira: ebbene quei tre disegni ricevono tre premi,
risultando Donadel uno dei vincitori del concorso riservato ai giovani sotto i trent’anni. 
Nel 1963 viene a mancare Carlo Cardazzo: con lui si conclude un ciclo importante della vita
artistica di Bruno Donadel e se ne apre un altro – grazie anche ad Alberto Albertini - che lo porta a
New Ashtart - sede legale: Via Brigata Mazzini, 44 - 31010 Col San Martino - TV
C.F. - P. IVA 04477980264 Cell. 347 2969582 - 349 1460412 newashtart@gmail.com
http://www.newashtart.comCo-Presidente/: Dr.ssa Enrica Angella - Co-presidente: Dr. Piero Bongi - Vice-Presidente: Arch. Gabriele
Frassetto
Responsabili Organizzazione Eventi: Dr.ssa Mariagrazia Zambon e Dr.ssa Paola Coletti
livelli di grande valore sempre nel segno dell’indipendenza, dell’autonomia e soprattutto del suo
esclusivo talento, tanto consistente da essere premiato prima della fine degli anni sessanta ad
Alessandria (2 volte), Ancona (2 volte), Casale Monferrato, Milano, Padova, Suzzara e Modica e da
essere invitato moltissime volte ad esporre con P. Picasso, G. De Chirico, C. Carrà, V. Guidi, H.
Matisse, G. Morandi, M. Sironi ecc.: tutto questo, come dice Munari, senza appartenere “a
correnti, cenacoli e mercanti”, nella più totale libertà 
perché Donadel non ha mai accettato le leggi non scritte che regolano il mercato dell’arte. Così si è
sempre comportato, senza accettare compromessi, contratti a lungo termine che forse l’avrebbero
arricchito dal punto di vista finanziario, ma che gli avrebbero tolto, come dice lui stesso, la sua
creatività.
Ancora una volta Donadel presenta a tutto il pubblico giunto presso le Cantine Conti Collalto di
Susegana ed ai suoi innumerevoli collezionisti - dopo le stupende esposizioni al Museo Nazionale
di Villa Pisani di Stra (Venezia), quella di Asolo dell’anno scorso, l’elegante presentazione a Feltre
Bruno Donadel alla cena con Gian Berra
nella primavera del corrente anno e l’ultima organizzata presso la Villa dei Cedri di Valdobbiadene
(giugno-luglio del corrente anno) – una nevicata che sicuramente sarà apprezzata per il lavoro
meticoloso di ricerca ed analisi, per l’impegno profuso nell’affrontare superfici particolari e per il
valore armonico della composizione che raggiunge livelli di elevato spessore artistico.
Il catalogo delle opere esposte a Valdobbiadene (Opere Grandi-Grandi Opere, mostra curata da New
Ashtart) è a disposizione dei visitatori che vogliono approfondire il mondo di Bruno Donadel, la sua
storia personale ed il percorso artistico effettuato in quasi sessant’anni di attività che fa di lui un
unicum nel panorama dell’arte.
I dipinti riprodotti nel catalogo sono i classici del suo repertorio: paesaggi del Quartier del Piave e
del Veneto, nevicate, mucche al pascolo, animali da cortile, contadini che lavorano, fiori di campo
che predilige senza trascurare gli altri, nature morte, soggetti religiosi ecc. ecc.. 
Eccezionale il carboncino su compensato, di oltre due metri e mezzo per due, che raffigura
contadine e contadini intenti a raccogliere i frutti del loro duro lavoro. Ma di certo non si può fare
una graduatoria, riguardo alla riuscita, dei dipinti perché in tutti Donadel ha dato il meglio di sé,
infatti in ognuno si è preoccupato di curare i particolari e di fondere ed amalgamare i colori in
modo magistrale e cioè in modo degno di un Maestro che conosce tutti i segreti della pittura. 
Nelle opere di grandi dimensioni del Maestro Bruno Donadel scelte per il presente catalogo ogni
elemento trova la sua giusta collocazione, in un’apoteosi di tratti, colori, ombre, luci che
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Il pittore bruno Donadel ad una sua mostra
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rappresentano in modo unico, com’è solo prerogativa dei grandi artisti, un’idea che si
concretizza, anzi si materializza, prende forma e consistenza dall’ esperienza sia personale che
intrapersonale. 
Lasciamo dunque al lettore/osservatore il piacere di ammirare, di interpretare, razionalizzare se
lo desidera per tentare di comprendere quel mondo interiore del Maestro che tanto fa discutere i
collezionisti, di cui ormai è estremamente difficile tenere il conto. Solo un avvertimento da chi lo
conosce da oltre trentacinque anni: a volte è spinoso come un riccio, sfuggente come un pesce,
tagliente come una lama, ma solo con gli amici. 
Enrica Angella

Piero Bongi

Bruno Donadel e Gian Berra


















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